CAP24100
Centro Arti Performative Bergamo ( 24100 ).
ARTE PERFORMATIVA
Il termine Performance Art, nato negli anni Settanta, designa una serie di espressioni artistiche prodotte attraverso la danza, la musica, il cinema, il teatro, il video e la poesia. Quando il performer proviene dal mondo del teatro risultano prevalenti la parola e la teatralità, quando invece proviene dal mondo della danza prevalgono immagine e movimento. A vantaggio delle sollecitazioni teatrali, gestuali, interpretative visive. Elementi fondamentali della Performance Art sono il corpo e il comportamento (Body Art), i suoni, l’olfatto e le parole. Con l’uso del corpo come medium artistico la Performance Art si avvicina alla Body Art. Esponenti delle Performance Art, dagli anni ’60 e ’70, sono: Robert Fillou, Dick Higgins e Jackson McLow con le performance verbali; Merce Cunningham, Trisha Brown e Lucinda Childs con le performance sinestetiche; John Cage, Terry Riley, La Monte Young e Giuseppe Chiari con le performance acustiche.
La Performance Art, definizione “open-ended” che designa tutta una serie di operazioni artistiche coinvolgenti elementi relativi alla danza, al cinema, al teatro, al video, alla poesia, alla musica, alla fotografia… ed effettuate davanti ad un pubblico.
La Performance è una forma d’arte di non facile definizione (si può forse chiamare “arte che si esplicita mediante l’azione“), che cercheremo di conoscere meglio grazie all’aiuto di esperti performer, come è già avvenuto in altre occasioni durante work-shop e collaborazioni organizzate da C.A.P. 24100 Dipartimento danza
Nei tardi anni Settanta, tuttavia, una seconda generazione di Performance Artists ha rigettato il rigore e la severità della prima Performance Art (che era frutto delle poetiche anti-società di massa sviluppatesi nell’alveo dell’Arte Concettuale) per offrire operazioni più “cross-over” (in italiano, approssimativamente, più trasversali, che mischiano elementi di culture e approcci diversi).
E’ il caso dell’attore e performer Andy Kaufman (la cui breve vita è ricostruita nel film “Man on the Moon” di Milos Forman), dell’autore ed attore Eric Bogosian (vedi “Talk Radio” di Olver Stone), del regista ed autore teatrale Robert Wilson – perfino Whoopi Goldberg si dice abbia cominciato come performance artist – ma soprattutto della cantante Laurie Anderson.
Che cosa accomuna questi ultimi ? Semplicemente il fatto di aver portato la Performace Art fuori dalle gallerie e dai luoghi deputati dell’arte ed averla inscenata in altri luoghi – clubs, teatri, televisione, locali alternativi o di tendenza. In questo senso, però, il primo grande performance artist di seconda generazione ed anello di congiunzione con la Body Art è sicuramente il cantante Jim Morrison dei Doors.”
Come si evince da quanto scritto da Alessandro Tempi, performance vuol dire interdisciplinarità, coinvolgimento dello spettatore, vuol dire una forma d’arte che non mira a produrre oggetti artistici, ma sensazioni, inquietudini, impressioni, emozioni dal vivo grazie all’azione del performer, figura che Patrice Pavis, professore di teatro all’Università di Parigi, definisce “un autobiografo scenico che possiede un rapporto diretto con gli oggetti e con la situazione enunciativa”, un attore che recita sè stesso, che parla e agisce a titolo personale, in rapporto diretto col pubblico.
Si vede anche che la performance origina da lontano, che è già presente, come ci spiega Alessandro Tempi, nelle trovate provocatorie di Duchamp, nelle “azioni” di Yves Klein, Piero Manzoni, Jackson Pollock, accomunati, seppure in luoghi, tempi e modi diversi, in una ricerca sperimentale multidisciplinare che pone l’accento sull’immediatezza della relazione artista-pubblico per creare un evento artistico che, non prevedibile nelle sue specifiche modalità esecutive, non è riproducibile, non è una delle tante versioni o interpretazioni di un’opera, ma resta unico ed irripetibile.
Per usufruirne bisogna “esserci”, farne parte, contribuire a crearlo.
Jeff Nuttall, critico e scrittore, dice che “l’arte performativa, a ben vedere, non vuol dire nulla“, mancando un assunto teorico, essa si può descrivere ma non definire, ma forse è giusta una “non definizione” per un’arte che punta sulla relazione pragmatica con la vita e la realtà e che quindi, come loro, è imprevedibile e sempre diversa, indefinibile, appunto.